IL PAESE: UNA DIMENSIONE piccola DAL CUORE GRANDE
E’ stato un vero piacere , per noi del GBG, raccogliere i vostri scritti.
Ci hanno confortato sul fatto che il vivere in un PAESE ha ancora un significato…
“Quando nasci
in un paese di poche migliaia di abitanti, vi frequenti le scuole, vi trascorri
l’adolescenza, finisci per conoscerne ogni vicolo e ogni persona che ci abita.
Stessa cosa avviene per la tua storia personale: tutti sanno tutto di te e di
ciò che fai, tanto che diventi affettuosamente Giò e non Giovanni o signor
Giovanni come sei abituato a sentirti chiamare adesso.”
Antonino Bongiorno, "UN TUFFO NEL PASSATO"
Significa affetti, ricordi, sensazioni indimenticabili…
“Vieni qui
fianco a me, senti il profumo dell’erba tagliata? Da qui sotto il cielo è un
volta sconfinata, vedi?”
“Il vento
gonfiava le lenzuola stese al sole, due donne importanti per la mia vita
cantavano felici mentre piegavano il bucato, io sorridevo e godevo di questa
serenità”
Lorella Nodari
“La montagna si incendia
dei fuochi nelle corti.
Silenzioso responso
di raccolti nei campi, frutto dell’opra di uomini
in lotta con la natura
che dona solo a chi suda.
La luna in ciel guarda muta
l’avvicendarsi dei giorni e
delle fatiche terrene.
Ascolta il crepitio della legna
e ne odora gli
effluvi.
Anche quest’anno il rito delle stoppie riarse si ripete
e al brillar di Venere
s’alza un canto ed un’Ave Maria.”
Daniela Negrini, “FALÒ DI SAN GIOVANNI”
…sapori che forse non ritorneranno più…
“E’ mezzogiorno,
tutto è pronto e nonna esclama: “Tutti a tavola”. Si prende posto intorno al
grande tavolo. Prima di assaggiare il baccalà viene compiuto l’ultimo rito che
rispetti la tradizione: sopra al baccalà
viene versato un filo d’olio d’oliva a crudo. Nella stanza cala un momento di
assoluto silenzio: tutti stanno portando alla bocca il primo boccone,
assaporando la morbidezza de baccalà, sposato con la fragranza dell’olio
d’oliva, che si rivela essere ottimo e gradevole intinto nella cremosità della
polenta.
Nadia Salzani, "SAPORI DI UNA VOLTA"
Il paese è anche persone vive, rimaste nella memoria per un fatto, una tragedia, una storia particolare
“Macchiaaa!”. Lei mi sta chiamando. Smetto di
abbaiare a tutti quelli che passano davanti al lungo muro della Villa e
scodinzolando le corro incontro. Ha il guinzaglio in mano ! Sììì…. si esce!
Aspetta, mica si va dal veterinario, vero? No, no, i suoi cuccioli hanno le
bici, stavolta si va a campi!
E’ sempre una goduria
attraversare la via per raggiungere i Muri; mi arrivano zaffate
interessantissime dal rigagnolo che scorre lungo la strada, mentre già mi
allungo, e tiro, tiro, verso il Sentiero di Ulivi, dove, ogni giorno tutti i
cani che conosco si godono queste arie di paese.
Arriviamo alla Fontana. Sostaaa. Ai cagnetti di via Monteleone. Sostaaaa.
Di nuovo attraversare la strada, stavolta grande. Auto : pericolo! Non ho neanche il tempo di
imprecare qualcosa, che già siamo tra le vigne. Ci sono ora altri umani, sopra
a strane macchine con ruote enormi, lente e rumorose. Le case sono sempre meno,
il terreno è più soffice, corrooo. Le mille buche non sono il massimo per
andare in bici, dicono i padroni, a me invece piacciono.
Dopo essere passati
al lato di strade piene d’acqua che stanno sempre di fianco alla nostra,
arriviamo ad una specie di capanna, con un tetto di lamiera. Ora sento di
essere arrivato a casa di qualcun altro. Per primo ecco un cagnone, pacifico
quello, e poi una cagnetta che non la smette di correre. E con loro un vecchio
che continua a richiamarli… “Cicciolina! Bertinotti!”. Lei ridacchia, chissà
perché trova quei nomi divertenti. A quanto pare siamo invitati a fare una
pausa, quindi ci sposti amiamo sotto ad un ciliegio e il Vecchio comincia a
raccontare… I tempi andati si materializzano sotto quella pianta, la mani
nodose passano sul capo dei suoi compagni.
Improvvisamente scopriamo qualcosa che fa calare il
silenzio; gli umani si fissano, Cicciolina si ferma; il Vecchio continua. Quel
ciliegio era la pianta scelta da un Giovane Uomo, suo figlio, per togliersi la
vita. Cosa l’avesse spinto a quel gesto… mah, “masa schei”, sussurra il
Vecchio. Chissà perché quell’albero è ancora lì, chissà perché solo sotto
quell’albero ci sono sedie… Forse il Vecchio voleva stare vicino al figlio,
forse non era sicuro che erano stati quei maledetti schei a portarglielo via.
Forse raccontare la sua storia, ad Umani e Bestiole, non lo faceva sentire
solo.”
Eleonora Franceschi, “IL VECCHIO E IL CILIEGIO”
(vincitrice del premio della critica Adulti)
“… Siediti,
voglio raccontarti un fatto, è successo qui a Valli, e riguarda uno dei nostri
antenati, Benetti, erano gli anni ’20… immaginati una festa… si sono trovati i soldi finalmente e finalmente
si può issare la nuova campana… Per anni
quella campana è stata il suo strumento, ci si divertiva immagino… Fino a che,
un dì, un giorno qualunque, non lo sappiamo bene come andò, finì schiacciato
dal proprio camioncino. E la campana, quella sera non suonò… E venne il giorno
del funerale e la campana che suonava a morto. Nessuno si accorse dei suoi rintocchi, rispettoso sfondo naturale
del funerale… E prima che calasse la bara,
si ruppe così d’improvviso, con un suono sordo, scegliendo il più significativo
momento per uscire di scena e non lasciare solo il suo sacrestano.
In cielo.
Andrea Angheben, “PER CHI SUONA LA CAMPANA”
“… e alora me sposo”. Così ha risposto al
fratello maggiore che, da quando il
padre era diventato vecchio, aveva ereditato il potere sul poco o tanto che
avevano, compresa parte della vita del resto della famiglia. E sì che di anni
ne aveva già molti anche lui, al punto che nessuno, nemmeno lui, pensava più a
un matrimonio. E proprio per questo aveva chiesto solo un letto dove dormire,
una tavola dove trovar pronto a mezzogiorno e sera e ‘na sciopa noa. Perché la passione sua era quella lì’: andar a
caccia di uccellini di passaggio, fagiani e lepri, se eri fortunato. Non aveva
messo in conto che gli avrebbero detto di no, che il vecchio schioppo gli
doveva bastare.
“... e alora me sposo”. Gli
uscì così, dicono . Forse per ripicca. Quasi quelle quattro parole se ne
fossero uscite da sole per poi perdersi. Fatto sta che sei mesi dopo era
sposato e con una donna anche giovane, la metà dei suoi anni. E c’è da
immaginarsi che vita quella giovane sposa che è arrivata al posto di una “s-ciopa noa”. E forse è da allora che ha
preso l’abitudine di sedersi su una sedia, ma non a tavola, scostata, che,
anche da vecchia, la figlia doveva invitarla a prender il posto che suo era, ma
che forse suo non aveva mai sentito.
E un posto nella mitologia della famiglia lo merita, perché,
forse, se a quel fratello oramai vecchio davano i soldi per la s-ciopa, i miei figli, così come sono, non ci
sarebbero.
"LA S-CIOPA NOA"
Le persone vive nel paese hanno ognuna un ruolo, per quanto piccolo sempre rilevante, e ciò che accade, anche se piccolo, è sempre rilevante…
Le date
erano già stabilite da tempo. Ma a nessuna delle due parti era venuto in mente
che ci sarebbe stato il pericolo di una sovrapposizione. La processione avrebbe
avuto luogo alle 15 e l’orario della corsa più o meno alla stessa ora. Le due
diplomazie (clericale l’una e municipale- rossa l’altra) avevano tentato un approccio,
ma senza esito.
Il presidente della Pro Loco e il comandante dei vigili
erano in fibrillazione; e puntualmente il giorno della gara avvenne il
fattaccio… l’ostensione pubblica della statua del Cristo si stava avviando
verso il suo esito: si era ad un centinaio di
metri dalla chiesa.
Improvvisamente i
quattro aitanti giovani portatori mollarono sul selciato il sacro fardello e,
seguiti dai fedeli maschi validi, si precipitarono nei pressi del traguardo per
assistere al finale della corsa, ignari del fatto che la statua ed il “resto”
della processione avrebbero bloccato la corsa stessa. Il parroco piombò nel
panico… Il gruppo dei fuggitivi era
composto da quattro elementi e, dopo l’ultima salita, si stava fiondando verso
lo striscione d’arrivo. C’era un kazako (musulmano), un inglese (anglicano), un
serbo (ortodosso) ed un veneto (di famiglia rigorosamente bestemmiatrice, ma
di provata fede cattolica).
Giunti a folle velocità sulla coda del corteo, dovettero
inchiodare: bastò loro una veloce osservazione per capire la situazione.
Abbandonate le bici al muro, fendettero la folla di anziani donne e bambini e,
afferrati i maniglioni del Sacro Cuore, entrarono trionfalmente nella chiesa
con passo da bersagliere, accompagnati dall’ovazione del popolo festante.
Il distacco degli immediati inseguitori era tale che questi
poterono recuperare la bici e disputare
tranquillamente la volata…
Contemporaneamente il parroco ed il sindaco (l’uno dalla
canonica, l’altro dal municipio) uscirono in strada. I loro sguardi si
incrociarono, presagio di un tragico epilogo alla Don Camillo e Peppone… ma dopo pochi secondi si strinsero la mano e
“tagliarono” anche loro il traguardo tra il tripudio della folla.
Franco Gobbi, "IL PALIO DEL RECIOTO NELL’ANNO DEL
GIUBILEO"
“L’uomo
seguì gli ululati del proprio cane, facendosi strada veloce tra l’erba altra del campo di Sega. Quando infine lo raggiunse, per poco non inciampò nel fagotto argenteo.
“Accidenti!” esclamò l’uomo, osservando esterrefatto il
cadavere.
Gaia Indelicato, ispirato a “C’è un cadavere in
biblioteca”
Il paese è un punto fermo, ma quando diventa immobile si desidera andarsene via o almeno sognare che sia diverso… Sono i nostri ragazzi la voce di questi sentimenti…
“C’erano una volta cinque bambini che volevano esplorare il
mondo. Si diedero appuntamento in piazza a Gargagnago, davanti all’oratorio, e
si diressero verso il sentiero della salute”
I ragazzi
dell’Oratorio,”IMPARARE A STARE INSIEME”
“Un giorno come tanti altri o quasi, il pulman che portava
scuola i bambini non passò, al suo posto arrivarono dei carri trainati da
cavalli. <Questo non è un giro qualunque perché siamo nel 1950 e vi farò
vedere tutti i monumenti più importanti di Gargagnago.> Entrarono e videro
che all’interno c’era un mondo diverso, dove c’erano animali che giocavano
insieme e anche bambini felici. C’era Dante Alighieri che insegnava ai bambini
a leggere e a scrivere.
Elisabetta Lorenzi, “UN GIRO NEL TEMPO”
Ah, e per quanto riguarda l’arcobaleno, era caduto in un
piccolo campo di ciliegi, dove l’erba era alta e dove c’erano tanti fiori. I
ciliegi erano disposti in una sola fila,
non ben allineati. Uno di quelli era enorme, era il più grande del paese;
l’arcobaleno toccava proprio i suoi rami. La gente, che voleva vedere dove
andava a cadere l’arcobaleno , seguì la sua scia fino ad arrivare al grande
ciliegio. Le persone, arrivate lì, decisero di portare ognuna alla festa un
cestino di ciliegie colte dall’albero.
E così la gente
festeggiò tutto il giorno abbuffandosi di ciliegie e altri cibi. Quel giorno
nacquero, nel paese di Gargagnago, la felicità e la Festa della Ciliegia.
Anna Chiara Pernigo, “L’ARCOBALENO CHE
CADDE SUL CILIEGIO”
(vincitrice del primo premio Ragazzi e del premio come
miglior lavoro pervenuto )
… ma se il paese natale è il custode dei nostri momenti più cari, rimane vero che i paesi sono fatti da gente di tanti paesi, allora teniamo cara un’altra frase di uno dei vostri scritti:
“… ti rendi conto che niente potrà sostituire il tuo paese e tutto quello che porta con sé. Nonostante ciò,oggi più che mai, credi che occorra iniziare a vivere non più come abitanti di un piccolo borgo, ma come cittadini del mondo. Questo ti farà sentire ovunque ti trovi sempre a casa.”