sabato 2 aprile 2016

I racconti del nostro concorso invernale UN PAESE, UNA STORIA



IL PAESE: UNA DIMENSIONE piccola DAL CUORE GRANDE

 



E’ stato un vero piacere , per noi del GBG, raccogliere i vostri scritti.



Ci hanno confortato sul fatto che il vivere in un PAESE ha ancora un significato…



        “Quando nasci in un paese di poche migliaia di abitanti, vi frequenti le scuole, vi trascorri l’adolescenza, finisci per conoscerne ogni vicolo e ogni persona che ci abita. Stessa cosa avviene per la tua storia personale: tutti sanno tutto di te e di ciò che fai, tanto che diventi affettuosamente Giò e non Giovanni o signor Giovanni come sei abituato a sentirti chiamare adesso.” 

Antonino Bongiorno, "UN TUFFO NEL PASSATO"


Significa affetti, ricordi, sensazioni indimenticabili…



       “Vieni qui fianco a me, senti il profumo dell’erba tagliata? Da qui sotto il cielo è un volta sconfinata, vedi?”

        “Il vento gonfiava le lenzuola stese al sole, due donne importanti per la mia vita cantavano felici mentre piegavano il bucato, io sorridevo e godevo di questa serenità”

Lorella Nodari


“La montagna si incendia
dei fuochi nelle corti.
Silenzioso responso
di raccolti nei campi, frutto dell’opra di uomini
in lotta con la natura
che dona solo a chi suda.
La luna in ciel guarda muta
l’avvicendarsi dei giorni e
delle fatiche terrene.
Ascolta il crepitio della legna
 e ne odora gli effluvi.
Anche quest’anno il rito delle stoppie riarse si ripete
e al brillar di Venere
s’alza un canto ed un’Ave Maria.”

Daniela Negrini, “FALÒ DI SAN GIOVANNI”


…sapori che forse non ritorneranno più…


      “E’ mezzogiorno, tutto è pronto e nonna esclama: “Tutti a tavola”. Si prende posto intorno al grande tavolo. Prima di assaggiare il baccalà viene compiuto l’ultimo rito che rispetti la tradizione:  sopra al baccalà viene versato un filo d’olio d’oliva a crudo. Nella stanza cala un momento di assoluto silenzio: tutti stanno portando alla bocca il primo boccone, assaporando la morbidezza de baccalà, sposato con la fragranza dell’olio d’oliva, che si rivela essere ottimo e gradevole intinto nella cremosità della polenta.

Nadia Salzani, "SAPORI DI UNA VOLTA"


Il paese è anche persone vive,  rimaste nella  memoria per un fatto, una tragedia,  una storia particolare


         “Macchiaaa!”. Lei mi sta chiamando. Smetto di abbaiare a tutti quelli che passano davanti al lungo muro della Villa e scodinzolando le corro incontro. Ha il guinzaglio in mano ! Sììì…. si esce! Aspetta, mica si va dal veterinario, vero? No, no, i suoi cuccioli hanno le bici, stavolta si va a campi!
 E’ sempre una goduria attraversare la via per raggiungere i Muri; mi arrivano zaffate interessantissime dal rigagnolo che scorre lungo la strada, mentre già mi allungo, e tiro, tiro, verso il Sentiero di Ulivi, dove, ogni giorno tutti i cani che conosco si godono queste arie di paese.
Arriviamo alla Fontana. Sostaaa.  Ai cagnetti di via Monteleone.  Sostaaaa.  Di nuovo attraversare la strada, stavolta grande.  Auto : pericolo! Non ho neanche il tempo di imprecare qualcosa, che già siamo tra le vigne. Ci sono ora altri umani, sopra a strane macchine con ruote enormi, lente e rumorose. Le case sono sempre meno, il terreno è più soffice, corrooo. Le mille buche non sono il massimo per andare in bici, dicono i padroni, a me invece piacciono.
 Dopo essere passati al lato di strade piene d’acqua che stanno sempre di fianco alla nostra, arriviamo ad una specie di capanna, con un tetto di lamiera. Ora sento di essere arrivato a casa di qualcun altro. Per primo ecco un cagnone, pacifico quello, e poi una cagnetta che non la smette di correre. E con loro un vecchio che continua a richiamarli… “Cicciolina! Bertinotti!”. Lei ridacchia, chissà perché trova quei nomi divertenti. A quanto pare siamo invitati a fare una pausa, quindi ci sposti amiamo sotto ad un ciliegio e il Vecchio comincia a raccontare… I tempi andati si materializzano sotto quella pianta, la mani nodose passano sul capo dei suoi compagni.
Improvvisamente scopriamo qualcosa che fa calare il silenzio; gli umani si fissano, Cicciolina si ferma; il Vecchio continua. Quel ciliegio era la pianta scelta da un Giovane Uomo, suo figlio, per togliersi la vita. Cosa l’avesse spinto a quel gesto… mah, “masa schei”, sussurra il Vecchio. Chissà perché quell’albero è ancora lì, chissà perché solo sotto quell’albero ci sono sedie… Forse il Vecchio voleva stare vicino al figlio, forse non era sicuro che erano stati quei maledetti schei a portarglielo via. Forse raccontare la sua storia, ad Umani e Bestiole, non lo faceva sentire solo.”

Eleonora Franceschi, “IL VECCHIO E IL CILIEGIO”
(vincitrice del premio della critica Adulti)



          “… Siediti, voglio raccontarti un fatto, è successo qui a Valli, e riguarda uno dei nostri antenati, Benetti, erano gli anni ’20… immaginati una festa… si sono trovati i soldi finalmente e finalmente si può issare la nuova campana… Per anni quella campana è stata il suo strumento, ci si divertiva immagino… Fino a che, un dì, un giorno qualunque, non lo sappiamo bene come andò, finì schiacciato dal proprio camioncino. E la campana, quella sera non suonò… E venne il giorno del funerale e la campana che suonava a morto. Nessuno si accorse dei  suoi rintocchi, rispettoso sfondo naturale del funerale… E prima che calasse la bara, si ruppe così d’improvviso, con un suono sordo, scegliendo il più significativo momento per uscire di scena e non lasciare solo il suo sacrestano.
In cielo.

Andrea Angheben, “PER CHI SUONA LA CAMPANA”



“… e alora me sposo”. Così ha risposto al fratello maggiore che,  da quando il padre era diventato vecchio, aveva ereditato il potere sul poco o tanto che avevano, compresa parte della vita del resto della famiglia. E sì che di anni ne aveva già molti anche lui, al punto che nessuno, nemmeno lui, pensava più a un matrimonio. E proprio per questo aveva chiesto solo un letto dove dormire, una tavola dove trovar pronto a mezzogiorno e sera e ‘na sciopa noa. Perché la passione sua era quella lì’: andar a caccia di uccellini di passaggio, fagiani e lepri, se eri fortunato. Non aveva messo in conto che gli avrebbero detto di no, che il vecchio schioppo gli doveva bastare.
“... e alora me sposo”. Gli uscì così, dicono . Forse per ripicca. Quasi quelle quattro parole se ne fossero uscite da sole per poi perdersi. Fatto sta che sei mesi dopo era sposato e con una donna anche giovane, la metà dei suoi anni. E c’è da immaginarsi che vita quella giovane sposa che è arrivata al posto di una “s-ciopa noa”. E forse è da allora che ha preso l’abitudine di sedersi su una sedia, ma non a tavola, scostata, che, anche da vecchia, la figlia doveva invitarla a prender il posto che suo era, ma che forse suo non aveva mai sentito.
E un posto nella mitologia della famiglia lo merita, perché, forse, se a quel fratello oramai vecchio davano i soldi per la s-ciopa,  i miei figli, così come sono, non ci sarebbero.

"LA S-CIOPA NOA"


Le persone vive nel paese hanno ognuna un ruolo, per quanto piccolo sempre rilevante, e ciò che accade, anche se piccolo, è sempre rilevante…


Le date erano già stabilite da tempo. Ma a nessuna delle due parti era venuto in mente che ci sarebbe stato il pericolo di una sovrapposizione. La processione avrebbe avuto luogo alle 15 e l’orario della corsa più o meno alla stessa ora. Le due diplomazie (clericale l’una e municipale- rossa l’altra) avevano tentato un approccio, ma senza esito.
Il presidente della Pro Loco e il comandante dei vigili erano in fibrillazione; e puntualmente il giorno della gara avvenne il fattaccio… l’ostensione pubblica della statua del Cristo si stava avviando verso il suo esito: si era ad un centinaio di  metri dalla chiesa.
 Improvvisamente i quattro aitanti giovani portatori mollarono sul selciato il sacro fardello e, seguiti dai fedeli maschi validi, si precipitarono nei pressi del traguardo per assistere al finale della corsa, ignari del fatto che la statua ed il “resto” della processione avrebbero bloccato la corsa stessa. Il parroco piombò nel panico…  Il gruppo dei fuggitivi era composto da quattro elementi e, dopo l’ultima salita, si stava fiondando verso lo striscione d’arrivo. C’era un kazako (musulmano), un inglese (anglicano), un serbo (ortodosso) ed un veneto (di famiglia rigorosamente bestemmiatrice, ma di provata fede cattolica).
Giunti a folle velocità sulla coda del corteo, dovettero inchiodare: bastò loro una veloce osservazione per capire la situazione. Abbandonate le bici al muro, fendettero la folla di anziani donne e bambini e, afferrati i maniglioni del Sacro Cuore, entrarono trionfalmente nella chiesa con passo da bersagliere, accompagnati dall’ovazione del popolo festante.
Il distacco degli immediati inseguitori era tale che questi poterono recuperare la bici  e disputare tranquillamente la volata…
Contemporaneamente il parroco ed il sindaco (l’uno dalla canonica, l’altro dal municipio) uscirono in strada. I loro sguardi si incrociarono, presagio di un tragico epilogo alla Don Camillo e Peppone…  ma dopo pochi secondi si strinsero la mano e “tagliarono” anche loro il traguardo tra il tripudio della folla.

Franco Gobbi, "IL PALIO DEL RECIOTO NELL’ANNO DEL GIUBILEO"



“L’uomo seguì gli ululati del proprio cane, facendosi strada  veloce tra l’erba altra del campo di Sega. Quando infine lo raggiunse, per poco non inciampò nel fagotto argenteo.
“Accidenti!” esclamò l’uomo, osservando esterrefatto il cadavere.

Gaia Indelicato, ispirato a “C’è un cadavere in biblioteca”


Il paese è un punto fermo, ma quando diventa immobile  si desidera andarsene via o almeno sognare che sia diverso… Sono i nostri ragazzi la voce di questi sentimenti…


“C’erano una volta cinque bambini che volevano esplorare il mondo. Si diedero appuntamento in piazza a Gargagnago, davanti all’oratorio, e si diressero verso il sentiero della salute”

I ragazzi dell’Oratorio,”IMPARARE A STARE INSIEME”



“Un giorno come tanti altri o quasi, il pulman che portava scuola i bambini non passò, al suo posto arrivarono dei carri trainati da cavalli. <Questo non è un giro qualunque perché siamo nel 1950 e vi farò vedere tutti i monumenti più importanti di Gargagnago.> Entrarono e videro che all’interno c’era un mondo diverso, dove c’erano animali che giocavano insieme e anche bambini felici. C’era Dante Alighieri che insegnava ai bambini a leggere e a scrivere.

Elisabetta Lorenzi, “UN GIRO NEL TEMPO”



“Tempo fa, nel paese di Gargagnago, le persone avevano brutti pensieri, nella loro mente c’erano solamente cose spaventose, cupe e tristi. Ma un giorno mentre le persone, come starete immaginando, avevano uno dei soliti brutti pensieri, qualcosa attirò l’attenzione di un fabbro che stava forgiando un ferro di cavallo; questi alzò gli occhi al cielo e vide delle strisce colorate che di secondo in secondo prendevano sempre più la forma di un gigantesco arco. Il fabbro guardava la figura luminosa a bocca aperta. A un tratto si sentì come rinato. Tutti i suoi cupi pensieri non c’erano più, era come se qualcosa li avesse fatti sparire. Ma non fu solo lui a vedere l’enorme arco coloratissimo, lo videro anche i bambini della scuola, le persone che andavano al lavoro, le donne che erano in casa…  insomma lo videro tutti gli abitanti del paese. Tutta la gente era fuori di sé per la gioia. Quel meraviglioso arcobaleno  apparve nel mese di Giugno e la gente era talmente entusiasta che decise di organizzare una festa.
Ah, e per quanto riguarda l’arcobaleno, era caduto in un piccolo campo di ciliegi, dove l’erba era alta e dove c’erano tanti fiori. I ciliegi erano disposti in una sola fila,  non ben allineati. Uno di quelli era enorme, era il più grande del paese; l’arcobaleno toccava proprio i suoi rami. La gente, che voleva vedere dove andava a cadere l’arcobaleno , seguì la sua scia fino ad arrivare al grande ciliegio. Le persone, arrivate lì, decisero di portare ognuna alla festa un cestino di ciliegie colte dall’albero.
 E così la gente festeggiò tutto il giorno abbuffandosi di ciliegie e altri cibi. Quel giorno nacquero, nel paese di Gargagnago, la felicità e la Festa della Ciliegia.

Anna Chiara Pernigo, “L’ARCOBALENO CHE CADDE SUL CILIEGIO”
(vincitrice del primo premio Ragazzi e del premio come miglior lavoro pervenuto )



ma se il paese natale è il custode dei nostri momenti più cari, rimane vero che i paesi sono fatti da gente di tanti paesi, allora teniamo cara un’altra frase di uno dei vostri scritti:

 



“… ti rendi conto che niente potrà sostituire il tuo paese e tutto quello che porta con sé. Nonostante ciò,oggi più che mai, credi che occorra iniziare a vivere non più come abitanti di un piccolo borgo, ma come cittadini del mondo. Questo ti farà sentire ovunque ti trovi sempre a casa.”